Inventare un design della bellezza significa essere rivoluzionari

bellezza design

Viviamo in un mondo di pseudo-eventi e di semi-informazioni, in un’atmosfera satura di affermazioni che non sono né vere né false ma semplicemente credibili. / Daniel Boorstin

Siamo in un’epoca di selfie (in)credibili, gigionerie ad alto potenziale marketing, complimenti ed emoticons confezionate come balle, ricerca dell’approvazione più che della rivoluzione, hashtag premeditati a favore dei numeri, baldorie fra le lattughe dei supermercati, storytelling a misura di caducità.

Di fronte a questo cambiamento radicale, a cui i software che ci circondano ci abituano e solleticano e spingono, in modo sempre più subdolo, potremmo cominciare a dubitare di ciò che è reale, onesto, bello. Mi ha sempre colpito una frase, tutto è equivocabile tranne la bellezza, il più inequivocabile dei concetti. Non sto parlando di un font o di un costume indossato per essere taggato o di uno still life montato ad arte ma della bellezza elevata a un livello superiore, quella che a volte ti colpisce e ti lascia senza parole, soprattutto a quella che ammutolisce la bocca ma riempie il torace, penso alla maestosità del cielo in certi giorni, o a una risata improvvisa che ti magnetizza o alla perfezione rinascimentale italiana o al primo iPhone*, per dire.

Ecco che rivoluzione e bellezza sono intimamente collegate, l’una ha bisogno dell’altra, l’una alimenta l’altra.

Se perdiamo la capacità di riconoscere la bellezza, cosa succede?

Non ci sarà mai rivoluzione, e con essa non ci sarà mai evoluzione e progresso. Ecco perché la bellezza è così importante. Richiede profonda onestà con se stessi, nel lavoro di ogni giorno, nella vita di ogni uomo e di ogni donna. Quando la capacità di nutrirsi della bellezza viene meno si allontana brutalmente la capacità di rivoluzionare le nostre vite, offrendo il fianco alla superficialità del male. Come diceva John Balance dei Coil: una costante superficialità conduce al male. E la superficialità è proprio il contrario della bellezza. Ne è la versione farsesca, congelata, esibita. Può ingannare per anni, ma non per sempre.

Per non regredire esteticamente, moralmente in senso laico del termine, abbiamo bisogno di stare attenti ogni giorno al bombardamento a cui siamo sottoposti. Possiamo sottrarci, oppure possiamo restarne indifferenti, regredendo impercettibilmente fino a una posizione di stallo emotivo che più che bellezza ha la parvenza di una messa in posa.

Visto che tutti usiamo i media noteremo che non è la bellezza che solletica le masse, ma il bisogno del degrado più urlato, delle dichiarazioni casuali, della cultura sottomessa a un semplice zerbino di una casa da rivista.

Se la bellezza sta scomparendo abbiamo il compito di essere dei rivoluzionari.

I concetti sono intimamente legati. Allontanarsi dalla bellezza significa abbracciare la sottomissione, rendere l’osceno instagrammabile, diventare un esercito di carrelli online in movimento e di conversazioni colme di complimenti anestetici perché falsamente veri.

È giunto il momento di disegnare una parabola diversa, di inventare un design della bellezza, di compiere una rivoluzione di resistenza al superficiale, di combattere l’ottundimento rovinoso che colpisce l’inerzia, di muoversi attraverso la nostra coscienza e di comunicare contro ogni comunicazione l’onestà della bellezza. Senza bellezza non v’è interazione e comunicazione se non volte a un impero del male patinato. In un’epoca passiva, ci dobbiamo rifondare, scriverlo di notte se necessario, come diceva Sottsass, stare nei cubicoli della verità per risalire nei caveau della passivizzazione.

È una lotta impari e difficile, ribelle, rivoluzionaria.

D’altronde da quando la bellezza è così facile da catturare?

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