“Non scrivere mai una pubblicità che non vorresti che fosse letta dalla tua famiglia, non diresti bugie alla tua stessa moglie. Se dici bugie su un prodotto, sarai scoperto” David Ogilvy

L’atto del narrare, soprattutto attraverso il riscontro nelle emozioni dell’essere umano, attraverso il quale si compie e diviene efficace il linguaggio: lo storytelling. Ormai anche nelle richieste dei clienti, nei media, nella terminologia quotidiana tutto è storytelling, affabulazione incantata che genera empatia (sì è proprio così, succede anche a me!) e che sembra far fare (o comprare) cose immaginifiche alle persone, tramite la quale tutto è possibile.

I nonni lo facevano davanti alla stufa e a un piatto di polenta, ma quello storytelling conteneva gran fette di verità e di intelligenza, smarcava la fuffa e incrementava il calore dell’ambiente. Oggi se tutto è storytelling, allora niente è storytelling. Un deserto di storytelling. 

I format narrativi e l’analfabetismo diffuso della retorica

“L’elemento più potente nella pubblicità è la verità.” – Bill Bernbach

Se i format narrativi affini all’arte dello storytelling vengono usati ormai da tutte le campagne di advertising vuol dire che lo storytelling di cui tutti ci riempiamo la bocca è sistematico, pluri-consumato, usato e riusato, abusato, soprattutto nell’approccio dello storytelling management, applicato all’azienda, applicato al prodotto.

Non è più solo raccontare una storia per accrescerne la percezione emotiva, si tratta di inventare una storia e soprattutto vendere una storia, senza alcun criterio di fondamento concreto, di verità. E se ci raccontiamo la storia che tutto è vero se è raccontato come se lo fosse allora è possibile che di vero non ci sia nulla.

Se il tuo prodotto non ha le caratteristiche base, solide, da cui dovrebbe nascere il minuzioso scavo analitico che attraverso il mezzo genera la magia di raccontarlo nella sua verità e onestà e per un compratore che ritieni intelligente, allora il tuo racconto è fasullo, è una caricatura, è una vagonata di retorica che puzza di bugia, un accentratore di reactions che mira verso il basso e la massa, non ritieni più il tuo consumatore “tua moglie”, o l’intelligente compratore che hai davanti. Lo ritieni un credulone, e a te basta fare i “numeri” o diventare virale con l’hashtag della giornata.

Io, che sono parte di quell’inferno pubblicitario che dovrei migliorare facendo entrare aria fresca e pulita, dico: identifichiamoci con qualcosa che sia anche vero, è questo il compito dei Brand, di chi lavora nella pubblicità, di chi usa lo storytelling in modo sano perché non butta tutto nell’indifferenziata dello storytelling.

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