Copywriting: c’è sempre un altro modo di dire le cose

Una lettera che è un po’ una riflessione sul compito di chi fa copywriting, che sia pubblicitario o di prodotto.

Introduzione. “È il modo in cui lo dici”

Sin da piccola ho imparato che modo e tono potevano essere due grandissimi amici quando dovevo comunicare con gli altri. Spesso mio padre mi riprendeva perché mi permettevo di rispondere a tono. Io replicavo: “ho solo detto questo”, lui puntuale: “non è quello che dici, è il modo in cui lo dici”.

A scuola ci insegnavano che una frase è composta da soggetto, verbo e complemento che il più delle volte era oggetto. Il cosa, il concetto, l’idea. Modificando modo e tono, il come riusciva a sorpassare a destra il cosa e a diventare l’elemento portante della frase. E questa cosa a me faceva impazzire. “Non è quello che dici, è come lo dici”. Woah.

Modo e tono: due leve in un razzo della NASA. Colorate, invitanti. Basta muoverle un poco per trovarsi nell’iperspazio.

C’è modo e modo di dire le cose. E poi c’è il tono.

E ora mia madre. Il suo mantra è sempre stato: “le cose si possono fare in vari modi: se decidi di farle, perché non farle bene?”.

Mia madre è stata la prima a farmi capire che, diversamente dalle operazioni matematiche, cambiando l’ordine delle parole all’interno di una frase, il risultato cambia eccome: cambia la percezione di chi quella frase la legge o la ascolta, cambia l’effetto prodotto, cambia perfino il rapporto tra mittente e destinatario. Per lei i testi erano un gioco del 15, perennemente da sistemare, riordinare, rimescolare. Da fare bene.

È grazie a lei che ho imparato a giocare con le parole e la punteggiatura, sempre guidata da un imperativo categorico: ogni testo può essere riscritto meglio perché, ovviamente, c’è sempre un altro modo di dire le cose. Il modo è il mio bene supremo kantiano e con lui la forma, il senso, lo stile.

E dallo stile, il tono. La materia vibrante che, anche su carta, fa suonare in modo diverso due parole perfettamente uguali. Il tono è la personalità, il sapore, l’accento. Se il modo è come si presenta un testo, il tono è il colore che vogliamo buttare sul quel testo.

Perché ci deve essere un altro modo di dire le cose

Mica è finita qui. Potresti chiedermi: ma perché deve per forza esserci un altro modo? La risposta è banalissima nella sua semplicità: perché scrivere, soprattutto per chi fa copywriting creativo o di prodotto, è un atto comunicativo.

Scrivere vuol dire farsi capire. E farsi capire, a volte, è la cosa più difficile al mondo. Ecco che il lavoro del copy si fa etico: remixare un testo vuol dire spruzzare un bel po’ di personalità e allo stesso tempo armarsi di buon senso.

C’è sempre un altro modo di dire le cose affinché un testo sia:

  • inclusivo: che parla davvero a tutti da un punto di vista di gender, di situazione sociale, economica e culturale. Per farlo bisogna guardare al di là del proprio naso e mettersi nei panni dell’altra persona e farla sentire a proprio agio;
  • accessibile: che è facile da leggere e comprendere in tutti i punti e da tutti i supporti, ma anche che rielabora tecnicismi e semplifica nodi, e ancor di più che non dà mai per scontato chi è dall’altra parte dello schermo;
  • denso: che va dritto al punto e che rinuncia alla fuffa per dire davvero qualcosa di utile. Piccola specifica: denso non vuol dire un mattone tipo romanzo russo. Denso vuol dire: piccoli shottini di senso e chiarezza;
  • aderente, quindi umano: che è davvero fedele a chi scrive il testo, senza mai creare distanze né tra il testo e chi lo scrive (capita quando la maniera prende il sopravvento) né tra il testo e chi lo legge.

Noi di Caroselling crediamo sempre che ci sia un altro modo per dire le cose.

Anche quando c’è un lessico o un contesto ostico. Anche quando il tuo settore è costellato di termini tecnici. Anche quando ci inviate quello che è stato fatto finora scrivendoci “non sappiamo fare di meglio”.

Troviamo un modo insieme. Scrivici.

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