Questa lettera è per chi ha lasciato la strada per il bosco, a chi ha mollato la sedia calda comoda e statale per un garage freddo, a chi ha sfondato la porta quando lo avevano chiuso dentro, a chi ha piegato le catene quando era incatenato, a chi ha lasciato un lavoro sicuro quando era a tempo indeterminato, a chi ha ignorato il pezzo di carta che lo avrebbe fatto diventare “qualcuno”, a chi ha osato desiderare di costruirsi da solo un futuro, e poi, l’ha fattoNonostante tutto e tutti. Contro gli eventi, le finanze, gli affetti, le disavventure, le perdite.

Travis Kalanick (imprenditore)

Travis inventa UBER, e il modello UBER – (e ne è l’ex CEO fino al 2017, dopo essere stato cacciato dalla sua stessa azienda).

Nasce nella periferia losangelina, vita frenetica acuminata, densa, vorticosa e sempre ai limiti legislativi. I taxisti lo odiano, i dipendenti un po’ lo amano e un po’ lo odiano, le tazze in azienda volano, i ritiri aziendali sono strani, veramente strani, Tim Cook lo maltratta, da piccolo voleva diventare una spia, multe da ogni dove fioccano per aver sempre oltrepassato le regole in ogni campo e a qualunque costo e lui è l’ossessione in persona, il Joker della Silicon Valley mentre la creatura è un colosso presente in 600 città nel mondo con un valore stimato di 70 miliardi di dollari. E cosa fa durante il suo primo anno da milionario Travis Kalanick, l’uomo con il sogno di abbassare il costo delle auto a noleggio cliccando un bottone? Si prende un anno sabbatico e viaggia in giro per il mondo: Hawaii, Francia, Australia, Capo Verde, Senegal, Groenlandia, Islanda, Grecia, Giappone, Spagna. Qui trovi la lettera dedicata a lui e al parallelismo con la visione del designer Sagmeister.

Ora il suo nuovo business “si chiama CloudKitchens e se n’è cominciato a parlare nell’autunno di quest’anno. Usando tra l’altro fondi che vengono dall’Arabia Saudita, Kalanick ha affittato capannoni in giro per mezzo mondo (Stati Uniti, Regno Unito, Singapore, Corea del sud) e li ha arredati con cucine per creare dei ristoranti che lavorano esclusivamente da asporto, usando i servizi delle compagnie di consegne come GrubHub e UberEats. CloudKitchens è un grande magazzino Amazon della ristorazione” (fonte)

Stefan Sagmeister (designer)

Sue sono le copertine dei dischi di Lou Reed, Talking Heads, Rolling Stones, David Byrne, Pat Metheny, è uno dei graphic designer più influenti e famosi al mondo. È noto per la forte allergia alle regole, per aver infranto tutte le consuetudini nel suo campo, aver sempre lavorato con la sua creatività ai limiti del consentito calpestando lo status quo, mettendo tutto in discussione e vincendo. Per il manifesto di una mostra nel 2003 ha mangiato 100 diversi tipi di cibo-spazzatura per ingrassare 25 chili e scattare foto al suo corpo prima e dopo. Ha usato vere banconote da un dollaro per scrivere biglietti da visita su una commissione che prevedeva un costo massimo di un dollaro per biglietto da visita. All’apice del suo successo decide di chiudere per un anno ogni 7 anni il suo studio. Potete sentire il suo intervento al TED per un design felice e un suo intervento sempre a TED sul potere del tempo libero dove racconta la sua storia. Dice Stefan nel TED sul potere del tempo libero: “Ho uno studio di design a New York. Ogni sette anni lo chiudo per un anno per portare avanti qualche piccolo esperimento, cose altrimenti difficili da fare durante il regolare anno lavorativo. Nel nostro anno sabbatico non siamo disponibili per nessuno dei nostri clienti. Chiudiamo completamente. E come potete immaginare, è un periodo fantastico e molto dinamico. In origine avevo aperto lo studio a New York per riunire le mie due passioni, la musica e il design. Creavamo video e copertine per molti musicisti che conoscete e per molti altri di cui non avrete mai sentito parlare. A un certo punto mi sono reso conto che, come per moltissime altre cose nella vita che mi piacciono, tendo ad adattarmici. Ma con il tempo, finiscono per stufarmi. E di certo, nel nostro caso, le cose che facevamo iniziavano ad assomigliarsi tutte. Potete vedere un occhio di vetro fustellato in un libro. E qui più o meno la stessa idea, un profumo impacchettato in un libro, sempre fustellato. Così decisi di chiudere bottega per un anno. Se si considera inoltre che attualmente passiamo più o meno i primi 25 anni della nostra vita a imparare, poi ci sono circa 40 anni dedicati esclusivamente al lavoro, e poi, in coda, alla fine di questo periodo, rimane una quindicina d’anni per la pensione. Ho pensato allora che potesse essere utile togliere cinque anni dalla pensione e disseminarli lungo gli anni lavorativi. Naturalmente è una scelta molto piacevole. Ma, forse ancora più importante, è il fatto che il lavoro di questi anni rifluisce nel mio studio e nella società nel suo insieme.” Qui la lettera dove ne parliamo ampiamente. Qui il suo studio.

Bill Bernbach (copywriter)

«[….] Sono preoccupato che cominci la sclerosi delle arterie creative. […] Possono darti fatti, ancora fatti e ancora fatti. Sono gli scienziati della pubblicità. Ma c’è un piccolo problema. La pubblicità è fondamentalmente persuasione e la persuasione non è una scienza ma un’arte. Non che la tecnica non sia importante! Una superiore capacità tecnica renderà migliore un bravo creativo. Ma il pericolo è confondere l’abilità tecnica con quella creativa.» Lettera di Bill Bernbach ai propri superiori, 15 maggio 1947.

Dopo questa lettera, Bill, uno dei più grandi pubblicitari (e copywriter) dei suoi tempi, lascia il ruolo di direttore creativo alla Grey Advertising per fondare nel 1949 la propria agenzia: la DDB (Doyle Dane Bernbach). Il primo tassello della rivoluzione creativa fu l’asservimento all’ispirazione e il rifiuto del rituale. Il messaggio è un’unica funzione in cui parole e immagini sono la stessa cosa, non due elementi distinti dai ruoli definiti, in questo caso 1+1 è uguale a 3. Bob Cage disse, parlando del lavoro di Bill, «la combinazione di immagine e parole insieme formavano una terza, più grande cosa». Fondendo copywriting e art direction in un’unica funzione la struttura stessa dell’agenzia cambiò profondamente. Bill sovvertì la pubblicità così com’era stata concepita fino ad allora, elevando i creativi a veri e propri protagonisti del mondo pubblicitario e influenzando in questo modo anche le altre agenzie costrette a competere con lui. Lo staff della DDB era infatti invidiato in tutti gli Stati Uniti, Larry Dobrow dichiarò: «Se tu eri un copywriter o un designer selezionato per lavorare alla Doyle Dane Bernbach negli anni Sessanta, era più o meno come essere invitato ad unirti a una squadra di superstar. Diventavi parte di un’organizzazione che aveva così tanto talento che praticamente non falliva mai nel fare il gioco giusto al momento giusto e, come risultato, non persero quasi mai una gara alla quale furono chiamati, si trattasse di acquisire un nuovo cliente o di vincere un altro premio. […] Il desiderio di metterti alla prova e di eccellere in un ambiente così esigente e competitivo ebbe come esito la realizzazione del pieno potenziale di ognuno e di una prestazione al più alto livello possibile di creatività. Era il posto più duro in città per fare annunci. Nonostante ciò, o proprio per questo, era anche l’unico posto in città dove chiunque fosse davvero bravo volesse lavorare.»

Nel 1959, Volkswagen affidò all’agenzia DDB di Bill Bernbach la campagna per lanciare il Maggiolino negli Stati Uniti. Il resto è Storia.

Kennet Goldsmith (artista concettuale)

Wasting Time on the Internet, appunto: perdere tempo su Internet. L’autore è Kenneth Goldsmith, uno dei più quotati artisti concettuali americani, fondatore di Ubu-Web, archivio di poesia visuale, sonora audiovisiva e concreta, nonché primo poeta designato dal MoMA per comporre opere destinate alla città di New York e al museo stesso. Come già era successo nella raccolta di saggi Uncreative Writing Goldsmith rielabora il materiale ricavato durante i corsi universitari che tiene alla University of Pennsylvania. È l’autunno del 2014 quando pubblica un annuncio sul suo account Twitter: Il corso che terrò alla Pennsylvania il prossimo semestre si chiamerà Perdere Tempo su Internet.

La riflessione di Goldsmith parte da un presupposto interessante: noi tutti passiamo la nostra vita davanti a uno schermo, spesso perdendo tempo. Scopriamo che la nostra cronologia del browser ci aiuta a comporre una narrazione di emozioni, sensazioni e dei ricordi di un determinato momento della nostra vita quasi come il genere letterario del memoir; ci sorprendiamo che il nostro vagabondare con un cellulare non si differenzia in fondo molto dalla figura del flaneur di fine Ottocento: come lui vagava senza meta in cittàcosì noi surfiamo sul browser di link in link; e ancora sorridiamo leggendo che nell’era digitale il ruolo dello scrittore è sovrapponibile a un generatore di meme.

Tom McElligott (copywriter)

Spregiudicatezza e coerenza. Senza scendere a compromessi la Fallon McElligott Rice prosperò sulla base dei suoi principi di spregiudicatezza e lealtà. Il lavoro di McElligott, al contrario del suo carattere timido, era caustico, puntiglioso con intelligenza, contabilmente ironicospiazzante nella sua precisione come un piede di porco infilato nelle regole del gioco dell’allora establishment. “È quella pubblicità che le agenzie di solito esitano a presentare per proteggere il loro budget. È quel tipo di pubblicità che fa sudare leggermente il palmo delle mani, che ti rende un po’ nervoso. Ecco, questa è l’unica pubblicità che vale la pena di produrre” McElligott in un’intervista alla rivista Inc. del 1986.

Tom colse perfettamente la scia di interessi dell’americano medio, intercettandone i desideri più elementari, i limiti, le preoccupazioni, le paure, i motivi di orgoglio, cogliendone con le parole i precisi meccanismi di sollecitazione emotiva, con umorismo e ironia intelligente, scartando il già detto, non raccogliendo nessuna scia comunicativa preesistente, bucando lo schermo, sfondando il palco, facendo esplodere il brusio di fondo, trapanando la noia e l’abitudine che costituiscono la carcassa di autodifesa visivo-cognitiva del consumatore bombardato costantemente da messaggi pubblicitari.

Raymond Loewy (designer)

Celebre l’aneddoto che si racconta: una signora a cena, accanto al leggendario Loewy, gli chiede: “Perché ha voluto usare due x nel marchio Exxon?”. Lui rispose: “perché me lo chiede?” e lei: “Perché non ho potuto fare a meno di notarlo” … e lui: “Molto bene, questa è la risposta”. Molte delle idee di Loewy che si fondano su funzione e semplicità vengono dall’impianto culturale della Bauhaus e dal famoso architetto svizzero Le Corbusier. Da questo background di partenza Loewy trasformò per sempre il design americano, spaziando in tantissimi campi diversi e unendo le vendite alla propria percentuale di guadagno, con la conseguenza principale di scommettere sempre e solo su se stesso e sul proprio lavoro.

Ettore Sottsass (designer e architetto)

Fin dentro la vita. «Vorrei che i visitatori uscissero piangendo, vale a dire con un’emozione». Sottsass alla presentazione della sua mostra Vorrei sapere perché, a Trieste.

Sottsass lo sciamano schivo, che ci ha lasciato fra le sue creazioni il più grande tesoro da conservare: «Per me, il design è un modo di discutere la vita. È un modo di discutere la società, la politica, l’erotismo, il cibo e persino il design. È un modo di costruire una metafora della vitaPer cui, se devi insegnare qualcosa sul design, devi insegnare prima di tutto qualcosa sulla vita».Stimolato da varie discipline si reinventò continuamente pur mantenendo la sua preziosa libertà senza sofisticazioni, senza organismi politici religiosi culturali a bloccarlo nell’una o nell’altra barricata.

Qui la lettera completa su di lui.

Sergio Marchionne (problem solver)

Per tutta la vita ha combattuto la burocrazia a favore della concretezza e dell’operatività: «qualche ragione c’è se gli investimenti esteri sono ancora così bassi. E queste ragioni si chiamano burocrazia, servizi, infrastrutture, tasse e costi di gestione. Ho visto che i vincoli burocratici alla fine proteggono aziende inefficienti, aziende che non hanno prospettive di sviluppo e nella maggior parte dei casi scaricano i costi sui clienti», e ancora «se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo».

Mai fermo, mai domo, durante le festività in Italia si recava negli uffici degli Stati Uniti per lavorare, viceversa faceva durante le festività statunitensi, la sua parola chiave era dinamismo, il suo simbolo il maglione blu, che ha portato tutta la vita, di cui teneva decine di capi in tutto il mondo in modo da averne ovunque a disposizione, la sua passione la Ferrari e la musica lirica.

È stato celebrato da Time, da Forbes, ha lasciato il segno in ogni azienda, promuovendo la meritocrazia: «ho promosso ragazzi che erano qui da tempo, ma che venivano soffocati dai loro capi e non credo assolutamente alla regola che più sono giovani più sono bravi. Anzi. Sono per il riconoscimento delle capacità delle persone, che abbiano trenta o sessant’anni

Brunello Cucinelli (imprenditore)

Una grande storia di rivalsa, costruita sul garbo, sulla dignità e sugli occhi lucidi di un padre “umiliato e offeso”. Che ognuno di noi possa essere un piccolo e grande pioniere dell’animo umano.

Alessandro Michele (direttore creativo)

Si sposta fra Roma e Firenze, si circonda di oggetti e luoghi secolari che sutura con la musica elettronica e sinfonica, che eleva a una dimensione show distratta eppur calcolatissima che mai si ripete, quella delle sale chirurgiche, delle passerelle su linguaggio DOS, del qui e ora, della camera a mano, delle figure indossanti arbitrarie, elfi, esseri unici, pezzi d’avanguardia umana che ancora una volta tentiamo di addossare a quel muro o a quell’altro, a quella categoria o a quell’altra, in quel posto dove sembra che debbano incastrarsi nel puzzle noiolitico che ci siamo inventati per sopravvivere modestamente, appunto, modestamente, dentro freudiani schemi nevrotici.

Storm Thorgerson (artista concettuale)

Ed è sempre come il primo giorno della tua, e della sua nascita, come la prima ora, come il primo pianto.

È la nascita del concetto di bello che si fa strada sghemba e bellissima fra l’autostrada di alberi e concetti simmetrici che siamo, è il design che emoziona, è quello che definiremmo bello e al contempo pericoloso, inconsciamente nostro, paralitico nel nostro mondo parallelo di coscienza deturpata. E degno di turbamento come una preghiera da ultimatum, come l’estrema visual unzione che ha a che fare con mondi a noi sconosciuti che noi vogliamo rimangano tali. E amen, così sia.

Zaha Hadid (architetto)

Alchimia della forma e forma piegata alla funzione, chi è senza peccato, alzi la prima pietra.

Zaha Hadid, architetto iraniano, possiede una forza bellica, trasversale, innata, e senza paura. Ridisegna i contesti, racchiudendoli nell’epicentro delle sue cattedrali nel deserto, o piega gli spazi rappresi nei tessuti urbanistici delle città, ne fa disegno e scultura, arte e cultura. Che non si è mai piegata è la sua architettura, resistita al giogo delle regole, delle consuetudini, delle rappresaglie normative e gravitazionali, del sessismo, è un’architettura che sfida e insieme emula la natura, che ne fa guida e rappresentazione puntuale, un’architettura dagli spazi annientati dagli spigoli, fatta di angoli di cielo, punture di prospettive, sbalzi magistrali che si prendono gioco della simmetria al limite dell’ingegneristica funzione.

È una disciplina assoggettata alla bellezza del gesto e dello sguardo, alla sfuggente definizione dei perimetri e della materia, dove la planimetrica distribuzione degli spazi si erge come una epidemia spaziale costruita da altra natura, grazie, sempre, alla violazione incauta ed efferata della gravità, grazie alle visioni di questo genio novecentesco, donna ignorata, che come di consueto ha dovuto faticare il doppio per colpire alla gola lo scetticismo borghese, l’esperanza planimetrica fatiscente del già detto e del già anche sussurrato.

È il capitalismo che si ribella allo status quo grazie alla perenne vertigine, al fuori misura, al quasi collasso, al corteo cementizio che a sua volta contiene museo, redditizio, vestale, amante della geometria meno causale. La sua opera, o la si ama o la si odia.

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