Perché il customer journey è un viaggio nelle emozioni

Il customer journey (il processo di interazione fra cliente e azienda) come un percorso a ostacoli tipo Giochi Senza Frontiere: gli americani ne hanno uno e si chiama “floor is lava”. Ed è pieno di emozioni.

Un onboarding (e un percorso) a prova di ansia

The floor is lava” è un gioco in cui i partecipanti devono saltare da un punto all’altro di un percorso senza cadere – perché, come dice il nome, il pavimento è lava e li ucciderebbe. Ecco, vediamola così: nel customer journey ogni contenuto, ogni microcopy, ogni bottone, sono appigli che evitano ai nostri utenti di cadere nella lava. Un passo falso e sarebbero risucchiati dal gorgo, puff, persi.

Sì, lo sappiamo, ti abbiamo messo ansia. Ma l’ansia è l’emozione regina durante qualsiasi customer journey che porti a una conversione. Lo dicono Valentina Di Michele e Andrea Fiacchi in un libro uscito a Giugno 2020, Emotion Driven Design: “L’ansia è la nostra emozione guida: ci tiene fuori dai guai e determina le nostre scelte: insomma, un’emozione-spauracchio che ci fa imboccare delle strade, anche molto in fretta, per cercare di evitare esperienze penose o dispersive.

L’ansia è anche quell’elemento che ci fa sbarellare dalla paura durante una prenotazione, un acquisto, un download, una procedura online. Anzi, ancora prima: dall’onboarding, il momento o il touchpoint (ogni tappa del percorso del customer journey) in cui un sito, un e-commerce o un’APP si presentano.

Come ha detto Des Traynor, co-fondatore di Intercom: “L’onboarding è la differenza tra qualcuno che è interessato a provare il tuo prodotto rispetto a un cliente che è molto felice di usarlo”. Felicità, appunto. Emozioni a step, eccole, in movimento.

“Ci sono cose in un silenzio che non m’aspettavo mai”

La navigazione non è un percorso lineare ma asequenziale. E in più, è un percorso permeato fino al midollo da mille, sottilissime, cangianti emozioni. L’eccitazione della scoperta di un prodotto nuovo, la confusione data dal sovraccarico di informazioni, l’ansia canaglia che inibisce o determina una decisione avventata, il sollievo che ci trasmette una conferma.

Giusto per complicare la faccenda, la navigazione è una storia piena di insidie, ostacoli, premi, step da superare, gratificazioni. E ancora: è una storia a bivi che ci costringe a tenere conto di ogni possibile flusso verso il completamento di un obiettivo, di ogni punto di partenza e possibile arrivo.

Rincariamo la dose: siamo soli davanti a un’interfaccia. “Vorrei una voce” canta Mina nella splendida La voce del silenzio, che è un po’ la stessa cosa che invoca un utente. Una voce che ci rassicura e ci guida in ogni azione, che usa un linguaggio chiaro ed empatico, che calcola tutti i percorsi in caso di vicoli ciechi e strade che si interrompono, che non ci fa cadere nella lava ma ci fa arrivare, sani e salvi, al traguardo. Quella voce sono i microcopy, testi progettati pensando alle emozioni degli utenti lungo il viaggio e che tengono conto di cuore e testa.

Gli applausi all’atterraggio

E ora una cosa che ci ha fatto sempre provare un’emozione netta: imbarazzo.

Parliamo degli applausi all’atterraggio dopo un volo in aereo.

Prendiamo il buono (sì, esiste) da questa pratica un po’ tamarra.

Prendiamo il sentimento di euforia alla fine del viaggio.

Prendiamo quella sensazione di “yey, ce l’abbiamo fatta!”.

Prendiamo la sincera voglia di festeggiare.

Ecco: quella è l’emozione che un buon microcopy deve suscitare alla fine del customer journey. Il desiderio di sparare coriandoli in aria, proprio come nell’emoji ?.

Una piccola confessione: quando incontriamo una buona user experience che ci porta fino in fondo, reagiamo proprio così. Sì, con tanto di applausi.

Photo by Museums Victoria on Unsplash

Caroselling © 2024