Aprile 2021: l’artista Floria Sigismondi co-dirige con il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele, Aria, film di 15 minuti che propone una rivisitazione dei cento anni di storia del marchio e culmina in un’incursione pagana nei campi Elisi.

Divorare il sole

A settembre 2019 Gestalten, editore, rivista, fucina di cultura visuale pubblicava Eat the Sun, riassunto di 25 anni di carriera diviso equamente tra fotografie, fotogrammi dai suoi video e scatti di backstage.

Nel libro fotografico Tilda Swinton e David Bowie ritrovano la loro vera natura di alieni rubati dalla Terra ad altri pianeti (a mystical, alien-like quality), l’attrice dal volto innocente Saoirse Ronan resta per sempre prigioniera di una soffitta tra cavalli a dondolo e bambole rotte, l’immagine colorata della popstar Katy Perry viene stravolta nel ritratto sottilmente angoscioso di una vecchia argentea.

Il titolo, Eat the sun, allude alla pratica rituale di fissare il sole – sungazing – che svilupperebbe la ghiandola pineale, il terzo occhio e donerebbe poteri soprannaturali.

In contraddizione con il mondo oscuro al quale ci ha abituati la Sigismondi?

Niente affatto: “Mi piace l’idea del sole come energia a cui possiamo attingere, una pericolosa palla di fuoco che dà la vita. Le persone sono come grandi soli bellissimi che si nutrono a vicenda, condividendo momenti elettrici. È così che guardo alla creatività e catturo un momento nel tempo.”

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La sarta del surrealismo

Floria Sigismondi, nata a Pescara, emigrata in Canada a seguito dei genitori cantanti d’opera (ma nelle sue interviste ricorda spesso anche le abilità sartoriali della madre), ha sviluppato a partire dagli anni ‘90 uno stile peculiare che miscela surrealismo, elementi gotici e vittoriani, medical fetish, icone sacre, le carni scomposte di Francis Bacon e i mondi paradossali di Lewis Carroll, muovendosi agilmente tra fotografia e regia di lungometraggi o serie tv.

E fashion film: secondo l’artista il fashion film è l’esplorazione di uno stato d’animo o di un tema, più che di un prodotto, esattamente come nei video musicali, con la possibilità di introdurre una spiccata componente cinematografica e di creare un’opera “totale” che sintetizzi varie arti.

Floria + Alessandro

Floria aveva trovato in Alessandro Michele un perfetto partner in crime già nel 2019 con 72 Hours in André Balazs’ Chateau Marmont With Kenneth Anger, short film covato dai tipi di System Magazine dopo aver assistito alla presentazione della collezione Gucci Cruise nella Promenade Des Alyscamps, necropoli paleocristiana situata lungo l’antica via Aurelia, in Francia: una sfilata che sembrava rubata direttamente a Lucifer Rising di Kenneth Anger, pioniere del cinema sperimentale americano, prima attore bambino, poi occultista cultore di Aleister Crowley nell’estate feroce della Manson family, regista ispiratore per rockers, cineasti e artisti d’avanguardia.

Così nasce la collaborazione tra Sigismondi e Michele, che decidono di immortalare questo carismatico sacerdote tra lo Chateau Marmont e il Sunset Boulevard di Los Angeles, la Hollywood Babylon di Anger e l’hotel simbolo di glamour mescolati sotto lo stesso tetto. 

Ecco il sole: un sole che è anche la sua eclissi, due facce indistricabili e perturbanti.

Tre anni prima, l’affinità tra Sigismondi e Michele muoveva i primi passi: l’artista viene chiamata a raccontare Gucci Giving (2016) e sceglie il mito dell’Eden immaginando un Gucci Garden popolato da zebre, tigri, uccelli esotici e unicorni, che si inseguono al ralenti in un universo biblico/pagano accompagnati da un brano della Lucia di Lammermoor di Donizetti.

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Una promessa di qualcos’altro oltre quella stanza buia

Un universo che viene riproposto nel già citato Aria girato negli studi di Cinecittà: in tempi di pandemia globale e di passerelle in streaming, Michele lancia a Sigismondi la triplice sfida di interpretare il sentimento comune di isolamento e di bisogno di respiro e “aria pulita” fantasticando su una natura amichevole, rappresentare un evento fashion spingendosi a giocare sul lieve sentimento di noia che può serpeggiare tra i partecipanti, celebrare il centenario del brand Gucci.

Spiega Alessandro Michele: “Arriva con la precisione di un rintocco, questo compleanno. Sono passati cento anni. Cento rivoluzioni terrestri che interrogano il fluire del tempo. Cento giri intorno al sole per tornare a quella primavera dove tutto si preparava a gemmare e a rifrangersi. Un tempo importante che deve essere festeggiato”.

Dall’ingresso nel Savoy Club, che allude al lussuoso hotel dove Guccio Gucci lavorava come ascensorista prima di creare le sue valigie, parte una sfilata sottilmente infernale malgrado (o a causa) della colonna sonora pop brandizzata, come in The Neon Demon, e attraversato da un senso del secolo realisticamente intriso di distrazione e scarsa concentrazione: malgrado compaiano diversi capi simbolo della storia Gucci e delle sue collaborazioni, da Tom Ford a Demna Gvasalia, i presenti sembrano confusi, distratti, non totalmente a fuoco

La Sigismondi racconta che questo momento rappresenta un tentativo di intrattenere le persone in un momento di chiusura che coinvolge l’intera umanità con l’idea della  “promessa, forse, di qualcos’altro oltre quella stanza buia”: una ragazza più impavida di tutti gli altri o forse attirata da un bagliore nascosto, spalanca la porta per svelare un mondo bucolico, abitato da conigli, pavoni e cavalli bianchi, un Eden estremizzato che deve qualcosa all’immaginazione sardonicamente disneyana degli artisti Pierre et Gilles per Les Amants Criminels, film del 1999 di François Ozon insieme fiabesco ed efferato

La sequenza, impeccabile, possiede la libertà di un momento di un film di Xavier Dolan – forse anche a causa dell’uso della colonna sonora elettro con volute reminiscenze anni ‘80 del francese Vitalic (Waiting For The Stars, brano già utilizzato da Peugeot nel 2008) – e osa fino a una levitazione magica che solleva in volo tutti i presenti, mentre nel finale una Biancaneve/sacerdotessa lascia volare in alto una borsa gioiello a forma di cuore umano. 

Secondo la Sigismondi la complicità con Michele si è sviluppata intensamente nella volontà di introdurre, alla fine del film, l’idea di un amore puro e mostrare la relazione tra umanità e natura, implicita nello sfiorarsi di animali umani e non.

La visionarietà della Sigismondi e il sogno di Michele di continuare a indossare il cappello del Principe Azzurro anche dopo Carnevale ha visto nascere anche un altro recente episodio, il video per Gucci Bloom (2020), altra declinazione di un Garden stavolta inondato di profumi, storia di quattro donne che vivono nel giardino dei sogni: due di esse sono icone quali Florence Welch e Anjelica Huston.

Anche in questo caso il video è impregnato di quella dimensione temporale sospesa e del gusto per l’esoterico che possono donare luoghi come La Scarzuola, in Umbria.

 

L’universo altrove di Floria

L’elenco delle collaborazioni di Floria Sigismondi è infinito: ha interpretato nel suo mondo creativo figure molto diverse: Marilyn Manson, Björk, Fiona Apple, Leonard Cohen, Sigur Rós, Rihanna; ha avuto tra i suoi clienti Gucci, Thierry Mugler e Adidas, ma anche Samsung, Motorola o Pantene. 

Ha diretto episodi di American Gods, Daredevil e The Handmaid’s Tale,  e si è affacciata alla regia del lungo con The Runaways e il recente The Turning, ispirato a Il giro di vite di Henry James. 

Probabilmente continuerà la sua corrispondenza di visionari sensi con Alessandro Michele e il tentativo del direttore creativo di miscelare tutte le arti in quella cinemoda che lo ha di recente portato a lavorare con Gus Van Sant nel film in 7 episodi dove protagonista assoluta è Silvia Calderoni, capace di passare dalle performance antagoniste dei Motus a un mondo identificato con il lusso più estremo con il solo aiuto del suo corpo mutante. 

 

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