Progettare in tempo di crisi. Un promemoria per il futuro.

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Questa lettera è una capsula del tempo. Se la stai leggendo vuol dire che è stata aperta.

Dentro troverai alcune testimonianze di un anno incerto che ora è il nostro presente, il 2020. Le ho conservate per proiettarle in un altro presente e farle riscoprire in un’epoca distante.

Questa lettera è un promemoria per il futuro.

Un Gruppo 47 di designer

Nel 1947, qualche anno dopo la fine della seconda guerra mondiale, una cerchia di scrittori tedeschi si riunisce col nome di Gruppo 47. Tra le prime cose che fanno, stilano un manifesto di principi morali e formali che applicheranno ai loro scritti. Preferiscono adottare una lingua semplice, chiara, di tutti i giorni. Bandiscono ornamenti superflui, metafore, simboli e tutte le figure retoriche abusate dalla propaganda nazista.

Il lavoro del Gruppo 47 non è strettamente linguistico ma è di progettazione. Dalle macerie della guerra, l’urgenza per loro è riavviare il sistema, ripensare un nuovo modo di esprimersi, articolare una grammatica e una lingua realista che sia in grado di riferire cose e fatti quotidiani.

Tutto ciò è più che mai attuale ora che mi trovo a scrivere queste righe, nella primavera del 2020. In un mondo scosso da una complessità invisibile e da una crisi sotto gli occhi di tutti, mi chiedo cosa dobbiamo tenere a mente e da dove ripartire per progettare e fare senso. Questa lettera non fornisce risposte definitive ma cerca di mettere ordine. Da qualche parte si dovrà pur cominciare.

Save for later. Cose buone per tempi migliori

C’è un’espressione che mi sta saltando spesso in mente ed è save for later. Salvo per un secondo momento, mettendoli in saccoccia, degli esempi concreti e virtuosi che possono fornirci la direzione da cui ripartire in futuro.

Sono esempi di contenuti progettati sul reale bisogno delle persone e che a questo bisogno rispondono in modo specifico. Questi esempi sono un faro di civiltà che ci guida nel mare di notizie false, decreti legge in legalese e approfondimenti mal organizzati: come ha scritto con ironia un mio amico su Facebook, “ho capito prima tutta la filmografia di Jodorowsky del comunicato del governo”.

Il designer non deve mai dimenticare che i modelli mentali delle persone cambiano in modo drammatico durante i momenti critici e di stress: restituire un contenuto alla portata di tutti vuol dire comprendere intimamente le motivazioni dei processi mentali dietro uno stato d’animo e le modalità di fruizione delle informazioni. In una parola, empatia.

Il Post ha messo al centro questa missione etica dall’inizio della diffusione del contagio. L’ha fatto interpretando le varie versioni del decreto legge, semplificandole, calandole in contesti comuni (si può uscire per fare la spesa / cosa rischia chi viola il decreto / per cosa ci si può spostare) e spiegando cosa fare, cosa no, come farlo e cosa avrebbero comportato questi cambiamenti. Un faro, dicevamo. Lo mettiamo subito nella capsula del tempo.

Abbiamo bisogno di parole che dicono cose

In Piove Domenico Modugno cantava vorrei trovare parole nuove. Un verso bellissimo che, se calato in questo annus horribilis, può indurre in tentazione tutti coloro che si occupano di produzione di contenuti. Ultimamente di parole o espressioni nuove ce ne sono fin troppe: lockdown, distanziamento sociale, isolamento, asintomatico, curva dei contagi. Sono inglesismi, tecnicismi, parole complesse o che non dicono niente.

A chi progetta contenuti (ancor meglio: a tutti noi) non servono. Abbiamo bisogno piuttosto di parole che dicono cose e che annullano le distanze. In un bell’articolo del New York Times dal titolo In Pandemic, Word Definitions Shift and New Lexicon Emerges, l’editor del sito Dictionary.com John Kelly sottolinea come le parole possano dare conforto, mettere ordine in mezzo al caos e trasmettere solidarietà anche se non si è vicini. Una parola come isolamento, per esempio, fa una gran paura ed è ingiusta nei confronti di chi vive da solo in casa. Lo fa sentire negletto, messo in un cantuccio, dimenticato.

Allo stesso modo un’espressione come distanziamento sociale, che non spiega nulla ed è poco pratica, ha scatenato una discussione all’interno delle tante comunità di copywriter, UX writer e designer: perché chiamarla sociale quando in realtà è una distanza fisica? E poi: che interpretazione ne deve dare la persona? Cosa deve fare per attuarla? Cosa succede se fa quell’azione specifica? E cosa accade se non la fa?

Quando manca un vocabolario condiviso e che fornisce coordinate precise, tutto appare molto confuso. E se le parole sono le prime a esserlo, null’altro può aiutarci a capire davvero la realtà.

Cosa fare, cosa non fare e come farlo

Nei momenti difficili il linguaggio e la comunicazione possono fare piccole grandi cose.

Cinque messaggi da lasciare nella capsula.

Uno. Progetta contenuti come se lavorassi per la Fisher Price.

Due. Rispetta le emozioni di chi legge e fruisce del tuo contenuto.

Tre. Usa una voce umana, non un tone of voice.

Quattro. Trasmetti vicinanza e valori alla tua comunità.

Cinque. Guida le azioni delle persone, risolvi i loro problemi e cambia in meglio la loro vita.

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Titoli di cosa

Conferenza “Progettare il linguaggio del futuro” Valentina Di Michele @Web Marketing Festival –

L’articolo del New York Times sul lessico nuovo emerso durante la pandemia di Coronavirus

Discussione su Reddit sull’accessibilità e sulla semplificazione del linguaggio in tempi di Coronavirus

Progetto di Rodolfo Veneziani sulla necessità di riprendersi le parole

Better Times – Beach House

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