Cosa vuol dire per noi produrre testi e contenuti nel 2020

Cosa vuol dire creare, curare, scrivere e maneggiare testi e contenuti ora, nel 2020? Questa lettera è una riflessione e una dichiarazione di fede rinnovata nel copywriter e nei costruttori di contenuti come ruoli umani sempre più complessi.

Cosa vuol dire essere copywriter: negare per affermare

C’è una canzone di uno dei gruppi preferiti, i Big Thief, che si chiama Not.

Il brano è una cavalcata epica di 6 minuti ed è dominato da due figure retoriche: l’anafora, ovvero la continua ripetizione di una parola all’inizio del verso (in questo caso not), e la litote, ovvero la negazione che afferma. La canzone è una lunga lista di cose che non sono, cose che, nonostante la loro non-essenza, dipingono un quadro preciso che diversamente una serie di affermazioni non sarebbe stata in grado di realizzare.

Lo stesso sentimento inafferrabile dato dalla capacità di scartare, una dopo l’altra, delle cose, mi assale quando penso a cosa vuol dire essere copywriter e occuparsi di contenuti. Ed ecco come la negazione più nebulosa può risultare cristallina, chirurgica – e spietata.

Non una torre di avorio

Scrivere testi, creare naming, pensare una headline non deve mai essere un esercizio di stile. Per noi il copywriter non si barrica in una torre di avorio per poi dire: “bene, questo è quello che ho partorito, addio plebei”. Il copywriter spiega – e non solo attraverso i rationale. Illustra e racconta ogni ragionamento in modo che le proposte creative siano inappuntabili e giustificabili, e quindi comprensibili, agli occhi del cliente.

Nessun segreto, nessun effetto speciale, nessuna illuminazione: solo una sanissima trasparenza nel metodo creativo. Che va a braccetto con una condivisione e un’apertura ancora più a largo raggio ad altri content manager e copywriter. Al bando gelosie, celodurismi e invidie serpeggianti: c’è spazio per tutti, ognuno a modo proprio.

Non un’epocale rivoluzione

L’attività di content writing o copywriting non dev’essere necessariamente vissuta con il desiderio spasmodico di provocare scosse di terremoto. Per me noi i modi di lasciare una traccia sono piccole ENORMI rivoluzioni come:

  • la ricerca di una nicchia di specializzazione (lo UX writing, ad esempio; o il technical writing) contro l’orizzontalità di un copy generalista;
  • l’onestà nella scrittura nei confronti del lettore e del brand contro uno stile fuffoso, enfatico e che lascia dubbi in chi lo legge;
  • lo sforzo di adottare una scrittura il più possibile inclusiva contro un testo che abusa sempre delle stesse espressioni.

Non solo il proprio ombelico

In tempi recenti mi è capitato di imbattermi in un commento che suonava così: “il copywriter non deve occuparsi di SEO”. Ecco, credo che quest’affermazione possa avere senso solo se si è convinti di essere negli anni ’90 o se si lavora a campagne pubblicitarie SOLO offline (e mi sento di aggiungere: entrambe sono prospettive piuttosto improbabili). Chi si occupa di contenuti deve avere una minima dimestichezza delle dinamiche che governano il web. Per questo conoscere le dinamiche della SEO, anche per un testo, risulta una tappa obbligatoria.

Non senza progettualità

E ora un’infornata finale: non esiste copywriting senza capacità progettuale; non esiste contenuto senza un approccio human-centered; non esiste un’idea creativa senza un pensiero spaziale.

Non esistono testi, esistono solo mappe.

Non più un “ti sto per dire dove ti trovi” ma un “tu sei ora qui”.

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