L’imprevista poesia dei linguaggi specialistici

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Oggi iniziamo un viaggio a velocità doppia nell’uso dei linguaggi specialistici per dimostrare come sia possibile proporre una comunicazione umanista insieme alta e bassa, che attinga ovunque, per costruire contenuti non solo efficaci e persuasivi, ma degni di essere narrati, caldi come una storia raccontata intorno a un falò, capaci di riflettere il nostro presente multiforme; a partire dalla materia prima: le idee.

Esattamente come fa già la letteratura, che «con semplici atti di cooptazione, dà diritto di cittadinanza a ogni cosa: sentimenti, oggetti materiali, paesaggi, sensazioni, voli della mente, stati della coscienza, ipotesi, galassie mai esplorate ed altri soli, ma anche a quant’altro fa corpo attorno al sostantivo «uomo», e cioè tutte le arti, tutte le architetture, tutti i sistemi politici, tutte le professioni, tutte le religioni» (da un testo di Stefano Manferlotti sulla traduzione).

 

Lo scopo è continuare a decostruire la solennità del contenuto (o del prodotto).

Il pioniere Bill Bernbach non è dimenticato.

Che si tratti di advertising, storytelling poetico o testi delle pubbliche amministrazioni (PA), vale sempre l’ovvio (ah l’ovvio, così sottovalutato e così vero!)

A proposito di scrivere conciso, semplice e chiaro; citando anche qualche esempio riuscito di irruzione di linguaggi considerati tecnici o settoriali nella comunicazione di massa, e di come sia possibile rubarne alcuni aspetti per rendere più appassionante e emozionante il mestiere di scrivere, quello di comunicare e il contenuto stesso.

Inventare nuove lingue che mescolano vocabolari, ispirazioni, toni e registri diversi, per restituire una realtà più complessa dell’oggetto specifico di una campagna.

Parlare del mondo che ci circonda attraverso il prodotto o il servizio, che sia una nuova app, una nuova piattaforma, una destinazione turistica o un prodotto per l’igiene personale.

Come sottolinea Francesco Taddeucci, «il mondo continua a girare spinto dai motori che il suo tempo gli offre: possono essere numeri o macchine, dati o alleanze, ma saranno sempre le idee a fare la parte del sole e del vento».

 

Che cavolo stai dicendo Willis

L’esperienza della frustrazione di fronte a un linguaggio incomprensibile è cosa che appartiene a tutti, ma per qualche ragione sembra non scalfire la nostra fiducia nell’ingranaggio alla radice; ovvero la perversa costruzione descritta da Mark Fisher, quando racconta «il folle labirinto kafkiano dei call center, un mondo privo di memoria in cui i meccanismi di causa ed effetto si legano tra loro in maniera misteriosa e imperscrutabile, dove è già un miracolo se qualcosa si muove e dove ogni speranza di riapprodare dall’altra parte, quella dove le cose filano lisce e senza strappi, prende e se ne va in fumo. Cosa esemplifica meglio di un call center il fallimento neoliberale nell’essere all’altezza delle sue stesse campagne (auto)promozionali?». 

Bisognerebbe toccare il tema del burocratese, del discorso amministrativo e pubblico, del linguaggio in eterna promessa di riforma che semplifica e snellisce

Si aprirebbe una voragine troppo ampia per essere affrontata qui – ci limitiamo, come esempio moderno, a rimandare all’epica lettura di Valerio Aprea di un chiarimento della Regione Basilicata in tempi di pandemia, che si trasforma senza necessità di ulteriori interventi in un pezzo di stand-up comedy

La satira svela molto rapidamente che l’intenzione dietro le parole non può essere affidata a un testo che inciampa su se stesso. Chissà. Forse la semplificazione dei discorsi delle pubbliche amministrazioni sarebbe davvero attuata se fosse generata da una reale volontà di procedere; affidata a professionisti competenti; e poi diffusa anche tramite declinazioni comiche (con un Maccio Capatonda o i The Jackal, come molti brand hanno già scelto di fare).

Se la PA si trova di fronte a difficoltà oggettive nel procedere tra decreti, leggi e postille, se non tutti i brand desiderano sperimentare particolare audacia, forse è proprio l’agenzia, i suoi creativi, che si ritrovano come nemico principale lo spauracchio del luogo comune.

 

Facciamo un patto. Oltre i modi di dire

Iliad, per sempre, per davvero

Se il primo requisito di una comunicazione riuscita per il brand è mantenere le sue promesse, quella dell’operatore telefonico Iliad è sbarcata in un territorio ormai vandalizzato da iniziative promozionali enfatiche spesso seguite da sensibili modifiche dell’offerta, una delle procedure che più ci innervosiscono come clienti. 

Iliad sbarca nel campo di battaglia telefonia/internet costellato da rancori vissuti come veri e propri tradimenti (anche perché è proprio nella fase della presa di coscienza del danno già fatto che ci rivolgiamo al folle labirinto kafkiano di cui sopra). 

Fin dal primo giorno della sua discesa sul mercato in Italia, la compagnia francese sigla le proprie offerte con un patto di sangue: due righe, insindacabili – PER SEMPRE. PER DAVVEROconsapevole, immaginiamo, che tornare indietro su queste parole significherebbe il suicidio. Da allora continua a crescere in termini di nuovi utenti e di fatturato, in modo significativo. 

Tra le sue campagne, tutte sinora firmate dalla DDB Group Italia, ci piace sottolineare La verità fa crescere: brevissimi spot in cui un personaggio scopre accidentalmente di dover rivedere le proprie certezze. 

Non solo: il tema di una relazione trasparente con il brand e in genere di un rapporto onesto e fiducioso tra chi comunica e chi acquista viene declinato anche in forme narrative laterali e più ampie: ad esempio con The Other Side, recentissimo progetto di serie in collaborazione con Vice, serie video in tre episodi che si propone di raccontare senza giri di parole tre esperienze di vita, tre punti di vista alternativi (almeno alla maggioranza delle routine quotidiane). 

I protagonisti delle tre storie sono Mauro Morandi, il leggendario naufrago/custode dell’isola di Budelli, definito dalla stampa “il Robinson Crusoe italiano” (oggi temporaneamente esiliato dalla sua isola, ma questa è un’altra storia), i guardaparco del Gran Paradiso, testimoni in prima linea dello scioglimento dei ghiacci, e alcuni studiosi che si occupano delle acque sempre più calde del Mediterraneo. 

Un tentativo di dare un corpo alla promessa di cambiamento del concept #Rivoluzioneiliad.

Osserva, annusa, assaggia: Too Good to Go

Un altro esempio recente è Facciamo un patto, il claim della campagna per contrastare lo spreco alimentare lanciata a Febbraio 2021 da Too Good to Go, coinvolgendo diversi firmatari (GDO, associazioni, imprese) in un’alleanza tesa a costruire e diffondere buone pratiche. 

Recentissima (giugno 2021) segue Etichetta consapevole, iniziativa sempre di Too Good to Go che per contrastare lo spreco di alimenti commestibili utilizza l’evocazione dei cinque sensi per una volta non in direzione poetica, ma funzionale: sotto la voce SPESSO BUONO OLTRE, osserva / annusa / assaggia sono i termini proposti come guida per rendersi conto se un cibo è ancora perfettamente commestibile, o comunque sicuro e non pericoloso, anche se meno fragrante, anche dopo il classico da consumarsi preferibilmente entro il.

Con tre parole materiche (osserva annusa e assaggia!) si rammenta ai consumatori che vista, gusto e olfatto servono all’essere umano per individuare eventuali pericoli, strategia difensiva messa in atto da millenni dall’essere umano.

In questo caso, il brand centra il triplice obiettivo di  informare su quali sono le buone pratiche contro lo spreco, far sentire sicuro il consumatore riguardo alla propria salute, non utilizzare imbarazzanti formule retoriche. 

 

Il linguaggio segreto degli annunci immobiliari

Tutti prima o poi facciamo i conti con quell’orizzonte indicibile e minaccioso che si affaccia tra le righe dei più gustosi annunci di compravendita o affitto, dai contesti signorile ∼ preparati a spese accessorie e inspiegabili di una certa entità – alla posizione strategica ∼ suggerimento di stampo militare tutto da verificare, dove l’ottimamente collegato ∼ resta una formula basata su quanto atletica è una corsa di fantozziana memoria dal letto alla prima fermata dei mezzi pubblici. Capita ancora di imbattersi in grazioso – una leggiadria sinistra, che fa sempre venire i brividi.

Mentre molte agenzie nostrane continuano imperterrite a partorire prosaiche inserzioni scritte dal demonio (solitamente corredate da foto che smentiscono in parte il testo), con l’idea che un po’ di inganno è funzionale agli affari, la scelta di un portale immobiliare svizzero è tentare di avvicinarsi alla realtà, pubblicando un vademecum rivolto allo spaurito acquirente o aspirante locatario. 

In Come leggere correttamente gli annunci si esaminano alcuni termini ricorrenti, confrontando cosa significano nella migliore e nella peggiore delle ipotesi.

L’attico dovrebbe essere un piano superiore con terrazza sul tetto, ma anche un sottotetto con finestre che ricordano feritoie – e la raccomandazione implicita di non alzarsi improvvisamente a mezzo busto mentre si è a letto. 

L’area residenziale con grande potenzialità di sviluppo potrebbe appunto essere dotata in futuro di infrastrutture, ma per il momento restare carente di trasporti pubblici – o immersa in un angoscioso deserto post apocalittico di costruzioni incompiute e ridenti parchi pubblici mai creati.

Chiedersi come potrebbe essere recepita una parola, una frase o l’evocazione di un’atmosfera nella migliore delle ipotesi e nella peggiore delle ipotesi è un esercizio decisivo nelle sessioni di training di un comunicatore.

Un gioco e un allenamento che certo, resta approssimativo; non è sempre facile prevedere le reazioni a ogni campagna (basti pensare al pur adoratissimo combo Taffo/Pirrone, meritevole di aver strappato sorrisi parlando di morte e di attualità riscuotendo una grande simpatia, ma non immune dal rischio di scivoloni). 

In ogni caso, i nostri razionali svizzeri hanno deciso, almeno in parte, di prendere le distanze da un atteggiamento predatorio nei confronti del cliente dissacrando termini che non hanno più alcun mordente e svelando con una punta di ironia ciò che chiamano “il linguaggio segreto degli annunci immobiliari”.

Un allenamento utile che ci sentiamo di praticare, anche solo per lubrificare i muscoli che servono a raccontare storie di valore.

 

Rimango a disposizione del Mister

Gli esempi più divertenti di linguaggio specialistico che assume una vita propria vanno attinti certamente da quello sportivo – dalla telecronaca al giornalismo, fino al bar sotto casa – dove il luogo comune è la regola, non di rado prestato ad altri ambiti, a manifestare un virile intento imprenditoriale, a celebrare enfaticamente successi logistici.

Tra le letture più godibili nella nostra ricerca della perenne reiterazione di frasi fatte, citiamo l’antologia Hanno deciso gli episodi. 20 racconti sul calcio e i suoi luoghi comuni [Pendragon, 2015], in cui i vari autori hanno il merito raro di non prendersi sul serio e di affrontare con umorismo e costernazione anche le proprie cadute in questo universo linguistico, tra il serio e il faceto.

Nel gustoso episodio Non siamo razzisti noi, sono loro che hanno il calcio nel sangue, Noto e Ambrosino ci offrono un “breve repertorio di stereotipi etnogeografici che chi scrive ha spesso usato o ascoltato senza fare una piega”, un atlante esilarante immediatamente riconoscibile da chiunque, anche da chi non segue da vicino il calcio: tutti i Brasiliani “hanno imparato nelle favelas, col pallone di stracci; vivono il calcio con alegria, soffrono la saudade; alternano alegria immotivata a saudade a caso”. Ne va da sé, i Tedeschi “giocano con disciplina” mentre gli Slavi (definizione assai vaga, comprende in linea di massima i giocatori provenienti dall’area balcanica) “quando c’era la Jugoslavia non hanno mai vinto nulla perché sono litigiosi […] restano sempre slavi anche quando sono cresciuti altrove (vedi Ibrahimović) […] appena firmano un contratto si comprano il macchinone” e fondamentalmente “sono zingari” (come testimoniato dalla recente ospitata Sanremese dove il calciatore veniva introdotto sul palco da una simpatica musichetta tzigana). Ma c’è di più: una autentica commistione di linguaggi settoriali al suo massimo splendore: «Come si vede, negli argomenti del sedicente esperto i riferimenti al regno vegetale o animale e al mondo delle macchine sono ricorrenti: i brasiliani soffrono la stagione e sfioriscono in inverno; gli africani lottano come leoni; ci sono i tulipani e i panzer, gli svedesi sono come dei diesel: partono piano ma poi non si fermano più, eccetera.»

Morale della favola (ahah): è possibile indagare tra le pieghe del linguaggio su qualsiasi tema, lo stesso sforzo di decodificazione e di inventiva andrebbe applicato alla comunicazione e alla telecronaca di qualsiasi altro mondo. 

Il buon vecchio design di una volta

In Come scrivono i designer: note di letture comparate per una linguistica disciplinare – ricerca di AIS/Design, rivista e sito dell’Associazione Italiana Storici del Design, ci si chiede se esiste una lingua del design e analizza una eccellente selezione di scritti di artefici del disegno industriale (artisti e artigiani), teorici (progettisti e ideologi della disciplina), critici. 

L’articolo evidenzia bene, anche per un non addetto ai lavori, quanto i mutamenti nello stile, nei toni, negli intenti si accompagnino negli anni a profonde mutazioni non solo nella disciplina stessa, ma nella vita civile di un Paese, nelle sue aspirazioni, a volte nelle sue ideologie.

Riporto integralmente, a coronare la nostra piccola indagine sull’uso del linguaggio, un testo di incredibile maestria di Gio Ponti, che già nel 1933 “dedicava alcune pagine alla funzione di una stazione di benzina, una nuova componente tecnologica del paesaggio quotidiano”: si faceva precursore di un approccio che si diffonderà a partire dagli anni cinquanta in Italia, sulla scorta teorica dell’importanza data “alla funzione e al significato che la cosa ideata e progettata (dall’edificio all’automobile al bollitore) andrà ad assumere all’interno della comunità alla quale è destinata”. 

Eccolo, Gio: «Stile della benzina. Sono beato quando vedo qualcuno di quei candidi e schietti padiglioni che le mondiali Case fornitrici di essenze e di olio per le automobili hanno distribuito lungo le nostre strade maestre e agli incroci di esse. Questi padiglioni sono quel che han da essere: semplici, cementizi, bianchissimi, con larghe gronde sporgenti a sbalzo a riparare le macchine: ornati soltanto di sportivi richiami pubblicitari. Essi sono le chiare allegre e colorate dimore di quei distributori – compiacenti personaggi in frak rosso, in “scarlet coat”, come i cavalieri delle caccie alla volpe, – che si presentano cortesi a ventre spalancato e prestano il loro lungo intestino di gomma per trasfondere dagli automatici stomaci di vetro l’essenza vitale all’automobile assetata.»

I linguaggi che utilizziamo

Sul linguaggio e la parola dovremmo chiamare in causa Umberto Eco e William Burroughs, ma non lo facciamo: si sono già spiegati benissimo da soli. 

Ci limitiamo a concludere questa nostra escursione con l’invito a un altro  esercizio elementare: individuare quante volte nel nostro lavoro di produzione o localizzazione di contenuti, ma anche nella vita di tutti i giorni, attingiamo ai linguaggi specialistici, per utilizzarli in modo più consapevole. 

Nel linguaggio tecnologico la precisione e il rigore delle metafore possono fare la differenza rispetto agli orribili traduzioni approssimative dall’inglese che in ogni settore flagellano presentazioni, conferenze e chiacchiere tra scrivanie. 

Quanto al linguaggio giornalistico, possiamo solo suggerire di dare un’occhiata alle puntate di Telefono Giallo su YouTube e leggere i commenti sbalorditi di molti utenti, che giustamente non riescono a farsi capaci della grazia, della dignità e della compostezza del linguaggio, non solo del conduttore ma anche di tutti coloro che partecipano al dibattito, per di più su temi scottanti. Probabilmente un nato nel 2000, scaraventato in un panorama mediatico già fortemente condizionato da una tendenza opposta, guarda questi filmati come noi venerandi predecessori guarderemmo una scena di Barry Lyndon.

Sul linguaggio scientifico ci sarà da ragionare seriamente in un prossimo futuro, basti pensare a quanto sia entrato nei nostri discorsi negli ultimi tempi, trainato dalla pandemia, accanto a quello medico-ospedaliero, e su quanto siano state analizzate, criticate e discusse tanto la comunicazione dei grandi gruppi farmaceutici quanto quella dei governi, per non parlare delle modalità di divulgazione degli esperti, fino ad approdare alle osservazioni di natura più socio antropologica sulla diffusione di credenze, fonti incerte o opinioni personali spacciate per verità inconfutabili, anche al ritmo delle necessità politiche del momento. 

E quanti altri linguaggi, ahimè, dobbiamo trascurare: come quello marinaresco. Durante il Naufragio della Costa Concordia, 32 morti e 110 feriti, il capitano di fregata Gregorio De Falco ha mantenuto i necessari tecnicismi del linguaggio, piegandolo però all’urgenza del momento e alle imperdonabili esitazioni dell’ormai tristemente celebre Francesco Schettino – un dialogo drammatico sintetizzato nel famoso Vada a bordo, cazzo! 

 

Mayday Mayday, l’arte e la bellezza a disposizione delle idee

Meno male che l’arte e la bellezza ci vengono sempre in aiuto. 

Autunno e inverno 2020, sono trascorsi tra i residui di un’estate cautamente tranquilla e una nuova ondata di diffusione del virus in tutto il pianeta, molti di noi hanno istintivamente dato particolare importanza ai messaggi che ci sono piombati addosso, forse anche conferendogli un valore simbolico del tutto personale, come è ovvio in una situazione di incertezza.

Il campo del marketing territoriale era particolarmente minato: in un momento in cui non solo i paesaggi esotici, ma i più semplici spostamenti ponevano delle difficoltà oggettive, non era facile decidere come agire. 

Facile e scontato continuare a proporre splendide immagini in stile documentaristico o terrencemalick-iano nel migliore dei casi, cartolina nel peggiore – ma il copy?

Con la consueta eccellenza nel settore della promozione turistica, VisitTrentino a Dicembre 2020 sceglie un volo su immagini mozzafiato di nordico silenzio e immobile luce ghiacciata per esprimere la necessità dell’attesa, interrotte solo dallo scorrere di un torrente e dalla fisicità vigile di un’alce, affiancate a un messaggio impeccabile.

Aspettare. 

Però, aspettare non vuol dire stare fermi. Non è nella nostra natura.

Un borgo addormentato, una funivia ferma, una rassicurazione: 

Per questo stiamo facendo tutto quello che è necessario per farci trovare pronti. In modo da accoglierti, in sicurezza.

Le luci calde e fiabesche di alcune finestre illuminate nella notte, nella neve, introducono l’assist: Così aspettiamo, e ti aspettiamo.

Uno spot per certi versi affine è stato trasmesso ancora prima, a ottobre 2020, quando i sentimenti generali erano abbattimento e preoccupazione. IDM Südtirol – Alto Adige cerca un modo per affacciarsi all’idea di ripartenza cercando di usare una formula più gentile e meno epica di tanti altri. Il testo che accompagna il video risponde direttamente al titolo Cosa rende così unico l’Alto Adige? e con un tono indovinatissimo, 10% dolcemente interrogativo e 90% poetico – e una speaker che riesce ad essere insieme sognatrice e familiare – snocciola le peculiarità della zona. Lo fanno tutti, ma in questo caso l’elenco tocca le tipiche chiavi (paesaggio, benessere, cibo, tradizione) usando delle formule rarefatte e quasi liriche, senza entrare nei dettagli, perché non è necessario. Nel trascrivere il copy, si nota con evidenza:

La luce

l’aria e la vetta

le salite e le discese

la conoscenza profonda e l’arte più alta

Il brano scelto, Gitanes, del progetto musicale del altoatesino Herbert Pixner Projekt, che fonde folk tradizionale e altri generi, commenta la parte più dinamica. Ma sia il parlato che il brano si interrompono a sorpresa, per dare spazio a un rapido travelling-in sul viso di una giovane ragazza, lasciando spazio solo a una campanella in sottofondo e a una visione di montagne maestose. Una breve esitazione, a sottolineare che non è facile rendere l’idea di una sensazione di quiete quasi spirituale:

questa pace

il taglio secco di un grappolo d’uva ci riscuote dalla fantasticheria più astratta e la voce, diventata quasi affettuosa, scende sulla terra e sul piacere del cibo

questo gusto

per poi procedere senza affrettarsi verso la risposta finale, tutto questo è Alto Adige Südtirol, ricordandosi di rivolgersi al viaggiatore più che al turista; a chi sa già che il valore di un viaggio è in ogni sfumatura dell’esperienza vissuta, anche la più banale (con il sorriso spigliato di una cameriera che infila le mani in tasca, invece di restare impettita al tavolo). 

tutto questo

è ogni momento

e ogni singolo incontro

Dove vogliamo arrivare? All’idea che sperimentando vie traverse, si ottengono risultati migliori.

 

Di non solo letterati vive la bellezza delle parole

Tanti di noi hanno conosciuto l’immenso Gianni Rodari nell’infanzia, in qualche libro per bambini, scoprendo poi solo più tardi la raffinatezza, l’ironia, la componente sovversiva del suo linguaggio, il suo spirito partigiano, l’amore sincero per una pedagogia basata sulla poesia e spesso sul volare di una fantasia surrealista sfrenata, degna di un Raymond Queneau; Dino Buzzati ha seminato il suo genio tanto nei suoi numerosi pezzi da cronista per Il corriere della sera, quanto nei racconti, nei romanzi, nei fumetti, nei quadri e nei costumi di scena, sempre raccontandoci quella crudele insensatezza che è il nostro vivere.

Parliamo di un giornalista che nel 1964, inviato all’inaugurazione della Metropolitana Milanese, immagina che da una piccola porta possa raggiungere l’Inferno e raccontarlo con la stessa perizia necessaria a un report sul campo: scrive Viaggio agli inferni del secolo, capolavoro tragicomico in cui si scopre che gli Inferi sono identici alle nostre città. 

Oppure, pensiamo a Henry Miller, alla sua lingua furibonda, incalzante quanto il parlato, preziosa e inimitabile come solo la scrittura più potente: condiva spesso le sue esperienze autobiografiche con gli appunti disseminati nel suo studio, sfavillanti elenchi di termini rubati ai glossari della medicina (in particolare elenchi delle malattie e bugiardini), della biologia, della zoologia, dell’astronomia.

Perché supponiamo di dover lasciare al letterato di professione la bellezza di giocare con le parole

 

Per una comunicazione umanista

Cerchiamo un esempio recente e riuscitissimo di commistione tra efficacia del testo e altre arti. Per Amref, SuperHumans ha realizzato una campagna creativa dove nulla è lasciato al caso o approssimativo: ha chiesto a tre artisti africani, Musa Omusi, Nancy Cherwon e Sinalo Ngcaba, di interpretare tre storie a partire dal celebre proverbio africano del leone e della gazzella, per rovesciare con grazia e umorismo gli stereotipi e i pregiudizi legati al continente africano. Storie illustrate da narrate dall’artista Metuchela Fumumba Bala, con colonna sonora di DJ Khalab, musicista italiano che sperimenta nuovi incroci tra musica elettronica, tradizione africana e jazz. 

Un’Africa oltre i modi di dire che scherza con la fama universale del proverbio (e con tutte le sue derivazioni e i suoi utilizzi) per correggere l’immagine di un continente da sempre collegato alla povertà e all’arretratezza tecnologica. 

#AfricaIsNot dimostra che narrare anche le eccellenze di un paese e della sua cultura, senza per questo negare le sue drammatiche difficoltà, si rivela non solo efficace, ma rapido contro gli stereotipi, quasi come un farmaco ad azione immediata anti-stereotipo.

Non importa che tu sia leone o gazzella, l’importante è sapere che… 

Precedentemente abbiamo parlato di autenticità, qui su Caroselling. Questa volta forse dobbiamo lasciarci con l’idea della generosità, come capacità di restituzione nella nostra comunicazione almeno alcune delle forme, dei fenomeni e delle persone che incontriamo su questo strano pianeta. 

Proprio come la generosità della letteratura: «Tratto peculiare della letteratura è, fra gli altri, la sua generosità. Potrà, la letteratura, non essere riflesso del mondo, ma di certo nel suo mondo accoglie tutto ciò che sia visibile o invisibile

 

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