Lascia ogni pregiudizio, o tu che entri in questa lettera. Abbandona qualsiasi idea ti sia fatto sulla User Experience come qualcosa (cosa, poi?, ti chiedi, che in fondo non l’hai mai capito) legato ad app, siti web, e-commerce. Iniziamo con un colpo di scena e proseguiamo con un tentativo di rivoluzione.

Cosa è la User Experience e perché è ovunque

La User Experience – d’ora in poi UX – non è solamente limitata al mondo digitale, è il motore di un nuovo Rinascimento umano. E già vedo la tua espressione di stupore. La UX nasce da un’esperienza di qualsiasi genere: un prodotto ma anche un’emozione, un viaggio, un piatto di un ristorante.

La miglior definizione di UX, a mio parere è “il racconto delle esperienze, uniche o frequenti, che un utente ha provato dopo aver interagito con qualcosa in un preciso contesto“. Questo resoconto è la prova del 9 di ogni designer o, allargando il campo, di chi ha progettato un contenuto o un prodotto. Quando il test viene superato, è un po’ come se si allineassero i pianeti: l’esperienza desiderata dal designer combacia con quella raggiunta dall’utente. Bingo.

La nostra proposta: la User Experience come filosofia di vita

Dicevamo prima: la UX è ovunque. Nella vita di tutti i giorni. E qui nasce la nostra proposta: e se cercassimo di estendere la UX anche nei rapporti tra persone?

Se la facessimo diventare una vera forma mentis, un modo di vivere e di intendere ogni sfera dell’umana conoscenza? Perché non spalmare ovunque – un po’ il pesto nelle tigelle? – il concetto nobile del “capire come creare qualcosa di facile, utile, credibile, che metta al centro l’umano e che risulti soggettivo e universale al tempo stesso”?

Come ogni proposta che si rispetti, deve avere dei capisaldi. Per noi sono dei comandamenti da rispettare e che dovrebbero permeare ogni comportamento – personale e professionale. In questa lettera te ne raccontiamo tre.

Primo comandamento. Smettila di metterti al centro del mondo

C’è un detto tra gli UX Designer che dice “Qual è il momento migliore per fare ricerca? Ora”. Chi si occupa di creare la migliore esperienza possibile non si mette al centro dell’attenzione ma sposta, sin da subito, il focus della ricerca sull’unico elemento che ha senso: l’umano.

In questa fase, si lavora per conoscere, capire e ascoltare chi fruirà del nostro operato. In pratica si comprendono i bisogni degli altri, ci si guarda intorno e, se possibile, si tengono a mente due concetti, l’uno la conseguenza dell’altro. Il primo è “Io non sono l’utente”, il secondo è, da interpretare in negativo, lo stereotipo insidioso “Designer knows best“. Entrambi aiutano a non fare affidamento solo sulla propria intuizione e comprensione del mondo. E a uscire dalla propria filter bubble in cui proprio non si respira.

Secondo comandamento. Perché basare la tua visione su presupposti…

…quando puoi basarti su dati e risultati di ricerca?

L’abbiamo detto prima: la ricerca per lo UX designer sta come al “ciao, come stai” di ognuno di noi. Con quel “ciao, come stai?” vogliamo far sentire a più agio possibile le persone ma allo stesso tempo comunichiamo che siamo disposte ad ascoltare. Ecco, da quell’ascolto otteniamo delle informazioni preziosissime che dirigeranno poi il nostro lavoro.

Sono informazioni che tengono a bada le decisioni creative di pancia (e ce ne sono sempre, eccome!) del designer. Sono evidenze che risolvono in modo effettivo i nodi più cruciali del progetto. E sono, cosa ancor più importante, risultati sì verificati ma che possono variare nel tempo ed evolversi come i gusti e le aspettative degli utenti. Quindi non avere mai paura a fare di nuovo ricerca, a testare il tuo progetto e ad avere altri dati.

Terzo comandamento. O come l’empatia può muovere ogni tua azione

Il fine ultimo dello UX Designer (allarghiamo il campo: di chi si occupa di comunicazione) non è mai creare prodotti che facciano profitto. Portare l’approccio della UX dentro le nostre vite vuol dire agire in modo umano, vedere le cose da un punto di vista diverso dal nostro, mossi dalla risposta dell’altro e dall’empatia – senza mai apparire come uno smargiasso.

Che sia un wireframe (lo scheletro di un sito) o il testo di una newsletter, la molla delle nostre azioni deve essere rendere il più piacevole e semplice l’esperienza di chi sta dall’altra parte, chiunque lui o lei sia. E quindi cercare di essere premurosi, cortesi e inclusivi. In una parola: attenti. A ogni passo che facciamo, sì, ma soprattutto a ogni passo fatto da chi ci sta intorno.

Solo così si allineano i pianeti. Solo così la prova del 9 è superata. Bingo.

Caroselling © 2024